Mattia VECCHI
Camminare è un gesto ancestrale, inscritto nel nostro DNA. Ogni uomo è in cammino. Sempre.
Quando camminiamo, che lo vogliamo o no, stiamo facendo qualcosa di essenziale per la nostra vita e stiamo riprendendo contatto con l’umanità.
Dico questo perché sono convinto che attraverso il camminare sia possibile cambiare il nostro punto di vista. Il passo lento ci permette di conoscere, alla giusta velocità, il mondo circostante, notare le piccole cose, lo sguardo dell’altro che nella frenesia del quotidiano sfugge o viene dato per scontato.
Guardo fuori dalla finestra, vedo passare nel parco sotto casa tanti “camminatori”, qualcuno corre. La maggior parte di loro è in solitudine. Capita anche a me di uscire a camminare per scaricare la tensione, cercare un isolamento, trovare me stesso. So però che questo è un controsenso. Già il fatto che sto camminando, che sono uscito è un chiaro segnale che non voglio essere da solo. Nessuno di noi vuole camminare da solo.
Camminare insieme all’altro, condividere la fatica del cammino e la gioia della meta, ci permette di trovare noi stessi, di misurarci, ma sopratutto di metterci in ascolto, avviare un dialogo che non sappiamo dove ci porterà, ma solo per il fatto che è iniziato custodisce in sé un valore profondissimo.
Quanti conflitti, da quelli più piccoli a quelli appartenenti inarrestabili, sarebbero così risolvibili. Mettendoci in cammino.
C’è un fatto che mi affascina sempre: ogni volta che apro il Vangelo non riesco a trovare un passo -nemmeno la crocifissione- che non abbia al suo interno un aspetto dinamico. Tutto avviene in movimento, in cammino. Anche quando sembra tutto fermo, l’invito è sempre quello di uscire da noi stessi per andare oltre noi stessi, per incontrare l’altro.
Nulla è immobile. Ogni essere vivente se immobile ha perso la sua essenza. È morto.
Da queste e altre riflessioni è nato in me il desiderio di costruire un cammino di pellegrinaggio, religioso, spirituale o totalmente laico che sia.
Così, insieme a due instancabili camminatori Andrea Bellavite e Nace Novak, è nato l’Iter Goritiense, un cammino trasfrontaliero che collega la Basilica Patriarcale di Aquileia al santuario di Svetagora (Montesanto) collocato sul monte che sovrasta le due Gorizia.
Immaginavamo un itinerario che non fosse solamente fisico, ma che potesse indurre il camminatore del 2025 -attraverso i luoghi attraversati e alle testimonianze - ad una riflessione profonda.
Il 2025 è un anno fondamentale. È l’anno di Nova Gorica con Gorizia Capitale Europea della Cultura, ma anche anno del grande Giubileo.
Volevamo fare la nostra parte in vista di questi avvenimenti, mettendoci del nostro, condividendo il nostro essere in cammino.
Proprio camminando abbiamo delineato un percorso di 82 km che si divide in 4 tappe ma sopratutto in tre grandi temi: le radici, le ferite e la rinascita.
Le radici.
Non si può guardare al futuro senza conoscere le proprie radici. La scelta di partire da Aquileia non è quindi casuale. Un luogo che porta con sé millenni di storia, culla di cultura e spiritualità Europea, crocevia di popoli e culture (e di cammini…). Proprio dalla Basilica si parte e ci si avvia verso San Canzian d’Isonzo, per arrivare al termine della prima tappa a Sagrado.
Le ferite.
Sono numerose le ferite che questo territorio porta con sé. A dire il vero, io preferisco chiamarle cicatrici. La ferita può essere ancora aperta e dolorante; la cicatrice invece è una ferita che rimarginandosi ha lasciato un segno.
Ecco quindi che attraversando le trincee sul Carso -ancora più in questo periodo autunnale che lo riveste del suo caratteristico color rosso- il cammino ci porta al ricordo dell’inutile strage che è stata la prima guerra mondiale, così come a quello altrettanto doloroso della seconda guerra mondiale e del confine che dal 1947 ha diviso la nostra terra e le nostre genti. Camminando sul Carso inevitabilmente penso a tutti i conflitti che ancora oggi devastano il mondo. Quando i miei scarponi scricchiolano sulla pietra dura, ad ogni passo mi ripeto: “Mai più! Mai più guerra!”Questo tratto di percorso che da Sagrado ci porta a Mirenski Grad ci aiuta a fare memoria, a non dimenticare per non commettere più -nemmeno nel nostro piccolo - violenza contro nessuno.
Rinascita.
Con la terza tappa entriamo a Gorizia e Nova Gorizia o nelle Gorici (duale sloveno, ovvero le due Gorizia) come adora definirle Andrea Bellavite: due città ben distinte con le loro diversità che però si compenetrano, si donano l’una all’altra. Visitare queste due città - al giusto passo e con sguardo aperto - ci permette di scoprire l’ immensa ricchezza della convivenza nella diversità.
Non lo nego, richiede impegno e a volte fatica, ma quanti passi in avanti stiamo facendo. E permettetemelo, contro tutti i detrattori della Capitale Europea della Cultura, il solo fatto che gli abitanti di Gorizia e Nova Gorica si stiano abituando a lavorare, a “pro-gettare” insieme, ecco questo è già IL risultato della Capitale. Gli eventi, le mostre, così come i grandi concerti, altro non saranno che il manifestarsi di questo unico grande risultato: la vita insieme nella diversità.
Tornando al cammino, l’ultima tappa parte da Nova Gorica e sale sul monte Santo.
Qui si fatica. La tappa è cortissima, ma ammetto che la salita è impegnativa. Quando si arriva in cima però, dall’alto, si possono ripercorrere con lo sguardo la quasi totalità degli 80 km di cammino fatto. Adesso si può riprendere fiato. Da qui, scrutando l’orizzonte, sfido ciascuno di voi a trovare la linea di confine. Il confine non c’è, non si vede, non esiste.
Certo esiste una frontiera che è occasione di incontro, ma nessun muro di divisione.
Ecco quindi che quest’ultima tappa ci ha portato faticosamente ad una rinascita, ad una spinta ulteriore per un futuro di pace , fratellanza e dialogo.
Ora che vi ho raccontato il cammino qualcuno potrebbe pensare che questo sia un percorso per noi goriziani e goriciani. Niente affatto (anche se farebbe molto bene anche a noi…). Questo cammino è l’occasione per camminare insieme a chi arriva da lontano e ancora non sa nulla di questa nostra terra e della nostra storia. Questo cammino è occasione di incontro e di testimonianza.
Camminare insieme senza confini: non è forse questa la Capitale Europea della Cultura 2025?
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